Autismo
e problemi giudiziari. Il ruolo dei Servizi Sociali
La
rivoluzione copernicana, che in campo scientifico ha portato al riconoscimento
della organicità dell’autismo e all’abbandono delle teorie degli
psicodinamici, deve trovare ora la sua concreta applicazione nei singoli casi
di autismo
Vale
a dire che è necessario promuovere il superamento della vecchia mentalità
dominante sulle presunte cause dell’autismo, ascrivibili all’inadeguatezza
della madre, affinché le nuove acquisizioni scientifiche, riconosciute a
livello internazionale, non rimangano solo letteratura medica, bensì trovino
accoglimento ed attuazione avendo riguardo a tutti i soggetti direttamente
interessati e coinvolti dal disturbo autistico, quali la famiglia e le
Istituzioni (i Servizi Sociali Territoriali competenti, la Scuola ed anche la
Magistratura).
Soccorrono,
in parte, a tal fine, le Linee Guida per l’autismo curate dalla
Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza
nelle quali si prende atto della svolta radicale raggiunta, si contrasta la
vecchia individuazione della causa dell’autismo nella anaffettività della
madre e si riconosce la necessità di promuove un coordinamento tra genitori
ed operatori di vario livello (medici di famiglia, pediatri, neuropsichiatri
infantili, psicologi, terapisti, educatori, ecc.) affinché si stabilisca una
alleanza terapeutica tra specialisti e familiari diretta a concertare e
coerentemente attivare percorsi educativi vincenti a vantaggio del soggetto
affetto dal disturbo autistico.
Limitando
il nostro campo di indagine al ruolo dei Servizi Sociali, si può onestamente
constatare che, in realtà, l’auspicata collaborazione o concertazione che
dovrebbe contraddistinguere il rapporto tra questi e la famiglia spesso lasci
il posto a divergenze, a contrasti e, nei casi più gravi, ad autentici
conflitti.
Di
fatto, accade di frequente che la formazione dei Servizi Sociali competenti
sia carente, o semplicemente l’orientamento invalso al loro interno sia
ancorato alle vecchie interpretazioni, o, ancora, che i Servizi Pubblici non
siano in grado di fornire interventi che rientrano fra quelli proposti dalle
buone prassi internazionali e dalle linee Guida della Società Italiana di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA).
Si
ha, pertanto, una applicazione del neo-comportamentismo a macchia di leopardo,
con conseguenti disparità di trattamento dipendenti dalla sola collocazione
territoriale del soggetto autistico.
Cosicché,
mentre molti Servizi Sociali Territoriali, diciamo più aggiornati, si sono
attivati per garantire ed applicare il nuovo metodo di cura Lovaas, altri, al
contrario, ancorati alle teorie degli psicodinamici, perseverano nell’antico
pregiudizio di colpevolizzare la madre e propongono terapie ed interventi
individuali a carico della madre isolando questa dal contesto di vita del
bambino.
Certo,
non si può colpevolizzare il Servizio Sociale che, per difetti strutturali o
di risorse economiche, si può trovare nell’impossibilità di beneficiare di
adeguata formazione, risultando, pertanto, carente di adeguata preparazione
professionale.
Tuttavia,
non si può non trascurare che, a volte, il deficitario aggiornamento
professionale, il pregiudizio e l’ancoraggio a vecchie teorie possano
portare a risultati fuorvianti ed aberranti, come è accaduto in una serie di
fattispecie concrete di cui l’Associazione Angsa è venuta a conoscenza.
Il
contrasto di opinioni tra le famiglie ed i Servizi Sociali competenti in
ordine alle strategie educative da adottarsi per il soggetto autistico non si
risolvono nel solo ambito metodico ed operativo, circostanza che già di per sé
può procurare, come affermano gli esperti, pregiudizi irreversibili alla
salute del bambino autistico, bensì ulteriori effetti patologici anche di più
largo respiro laddove i Servizi Sociali siano chiamati dalla magistratura a
relazionare ed a fornire informazioni utili all’organo giudicante
all’interno dei procedimenti di separazione o divorzio tra i coniugi o nei
procedimenti modificativi, ablativi della potestà genitoriale.
È
fatto ben noto che le Relazioni dei Servizi Sociali possano influenzare in
maniera determinante le decisioni degli organi giurisdizionali chiamati a
risolvere i conflitti tra genitori all’interno di giudizi di separazione o
divorzio nonché nei giudizi aventi ad oggetto la potestà genitoriale.
A
volte, accade che le relazioni dei Servizi Sociali conducano a decisioni del
Giudice di fatto inappropriate e persino contrarie all’interesse del minore,
ovvero all’interesse che si intenderebbe salvaguardare.
È
pur vero che l’indagine cui sono chiamati a svolgere i Servizi Sociali
dovrebbe essere congiuntamente portata a compimento da una serie di soggetti
ed operatori (assistente sociale, psicologo e neuropsichiatra infantile), ma
ciò non è sempre espressione o sintomo di garanzia per il minore e per la
sua famiglia.
Il
contrasto tra la famiglia ed i Servizi Sociali, generato dal difetto di
aggiornamento del servizio sociale o dalla profonda diversità di orientamenti
in ordine ai trattamenti da eseguirsi nel campo dei disturbi autistici,
finisce per trovare spazio nella Relazione che l’ente è chiamato a redigere
ed a consegnare al magistrato.
Cosicché
la figura genitoriale, di regola la madre, la quale è di norma il soggetto
maggiormente investito del compito assistenziale e di cura del figlio, viene
descritta in maniera discutibile in una curiosa logica accusatoria con
evidenti ripercussioni sul procedimento giudiziario in corso.
In
verità è frequente che i rapporti tra il genitore e gli operatori del
settore si allentino, ma la ragione di ciò risiede sempre nel profondo
disaccordo in relazione ai progetti educativi da attuarsi per il minore.
Ed
ancora, accade, sovente, che i Servizi Sociali denuncino la condotta della
madre, colpevole di rapporti di cura o accadimenti simbiotici con il figlio
disabile. Paradossalmente, risulta, poi, che all’affidamento materno
preferiscano e suggeriscano quale alternativa il ricovero in centri diurni o
strutture residenziali, il più delle volte non specializzate, con evidente
compromissione della salute e del benessere del soggetto autistico.
A
volte il contrasto tra la famiglia ed il Servizio Sociale può generarsi
semplicemente in ragione del fatto che la famiglia si rivolge altrove e quindi
il Servizio non ha percezione o conoscenza diretta del soggetto austistico e
del suo contesto familiare.
Nel
caso in cui il bambino usufruisca di servizi convenzionati (avvalendosi di
specialisti esterni) - in quanto il servizio pubblico non dà risposte
adeguate - l’operatore del servizio pubblico, chiamato ad esprimere un
parere o una valutazione sul minore ai fini della relazione da consegnare al
magistrato, non ha concretamente in cura il soggetto in questione e non
stabilisce contatti diretti con lo stesso se non a carattere sporadico.
Quindi,
l’indagine, se pur condotta da varie figure investite del ruolo
istituzionale suddetto, risulta non veritiera o quantomeno incompleta.
La
situazione si configura ancora più problematica laddove esista un aspro
conflitto tra i genitori in ordine all’affidamento del figlio.
Ed
infatti, in questi casi, il contrasto tra i genitori in ordine alle scelte
terapeutiche o semplicemente educative da attuarsi nell’interesse del
figlio, da cui scaturisce l’interessamento o la sollecitazione dei Servizi
Sociali, il più delle volte, trae origine o viene aggravato dal mancato
superamento della crisi di coppia e dall’incapacità di gestire il ruolo
genitoriale nel nuovo assetto familiare successivo alla intervenuta
separazione o divorzio.
Le
esperienze che hanno dato luogo alle considerazioni appena svolte ed altre
fattispecie similari ugualmente note all’Associazione Angsa non
costituiscono solo casi giudiziari, ma sono casi innanzitutto umani, i quali
debbono condurre ad affrontare serie riflessioni sul ruolo dei Servizi Sociali
all’interno dei procedimenti giudiziari.
Da
un lato sarebbe auspicabile raggiungere una adeguata preparazione e formazione
professionale degli operatori del Settore, dall’altro, in campo giuridico,
sarebbe auspicabile che il ruolo dei Servizi Sociali fosse ben delineato a
livello normativo e fosse peraltro rafforzato il diritto al contraddittorio,
al fine di evitare che il genitore o i genitori, diretti interessati e
destinatari dei provvedimenti riguardanti i minori, siano relegati a semplici
spettatori o vittime dei procedimenti che li riguardano.
In
considerazione del notevole peso psicologico nonché economico derivante da
inappropriate pronunce riguardanti il minore e la sua famiglia, sarebbe
infatti preferibile consentire un attivo coinvolgimento ed una effettiva
partecipazione dei genitori già in sede di redazione e stesura delle
Relazioni dei Servizi Sociali, superando il contraddittorio “differito”
concesso ai genitori all’interno della sola eventuale successiva fase di
opposizione o di istanza di modifica dei provvedimenti resi dall’Organo
Giudicante