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AVVOCATO 

Daniela Messina


 

 

 

Notiziario

L'istituto dell’amministratore di sostegno

Il panorama giuridico esistente prima della introduzione della legge sull’amministrazione di sostegno prevedeva in tema di status delle persone con menomazioni psico-fisiche due soli sbocchi legali alternativi: interdizione e d inabilitazione.

Colui che si trovava in condizioni di infermità mentale tale da renderlo incapace a provvedere ai propri interessi poteva essere interdetto o inabilitato a seconda della gravità della menomazione riscontrata e privato in tutto o in parte della capacità di agire e di compiere atti giuridici con la conseguente nomina di un’altra persona (il tutore od il curatore) che si sostituiva nel compimento di tutti i negozi giuridici.

Entrambe le due strade (interdizione o inabilitazione) erano e sono tuttora gravose dal punto di vista economico, giuridico, ma soprattutto umano, poiché lasciano un marchio che finisce di aggravare ulteriormente l’emarginazione psicologica e sociale dell’interessato e-a dire il vero- anche dei suoi familiari.

In questo assetto rimasto invariato sin dal 1942 si inserisce la legge 9 gennaio 2004 n. 6, entrata in vigore dal 19 marzo del 2004, che introduce nel nostro ordinamento l’istituto dell’amministratore di sostegno.

La legge innova profondamente l’assetto del codice civile in materia di interdizione ed inabilitazione, modificando ed ampliando le norme già esistenti poste a tutela dei soggetti deboli ed incapaci.

Finalmente anche nel nostro ordinamento appare un istituto più flessibile e meno gravoso dell’interdizione e dell’inabilitazione.

Sin dagli anni ‘70 era emersa in dottrina l’esigenza di rivisitare gli istituti dell’interdizione de dell’inabilitazione; negli anni ’80 un gruppo di studio coordinato dal Prof. Cendon ne aveva presentato una prima proposta di revisione.

La legge 6/2004 sull’amministrazione di sostegno, promulgata a conclusione dell’anno europeo per le persone disabili, costituisce, in coerenza con le recenti normative europee (Francia, Spagna ed Austria sono molto all’avanguardia sul punto) la sintesi di istanze sia giuridiche che socio culturali che hanno promosso una sorta di rivoluzione copernicana nella materia.

Il sistema previgente era imperniato sulla centralità del patrimonio a cui si è sostituita la centralità della persona.

Lo schema totalizzante dell’interdizione o dell’inabilitazione partiva da un giudizio di incapacità di agire derivante da una accertata infermità mentale e proseguiva nella logica di esclusione di qualsiasi partecipazione del soggetto interdetto nel panorama giuridico ma soprattutto sociale. Al fine di dare certezza giuridica ed economica ai traffici giuridici (contratti ecc.) ogni atto compiuto dall’interdetto doveva ritenersi invalido.

È evidente che nessuno spazio, neppure marginale, era lasciato alla persona colpita da questa misura di protezione, diretta in realtà alla protezione dei terzi più che della persona in difficoltà.

Per la prima volta con l’introduzione dell’a.d.s. trovano concreta attuazione normativa i grandi principi fondamentali costituzionali del personalismo, del solidarismo (art. 2), del riconoscimento di pari dignità senza distinzione di condizioni personali e sociali (art. 3).

L’amministratore di sostegno “è una presenza da concepire sulla carta come qualcosa di non molto distante da una sorta di fratello maggiore” [Prof. Cendon] che con il suo sostegno e la sua assistenza aiuti il soggetto debole, inteso in senso ampio.

La normativa ha pertanto una valenza innovativa sia giuridica che sociale (Finalità della legge art. 1) essendo volta alla protezione delle persone prive in tutto ed in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana prevedendo un programma da determinarsi caso per caso (progetto di sostegno) interventi di sostegno temporaneo o permanente a favore del disabile.

Questa nuova forma di protezione è a spettro ampio, essendosi rifiutata, finalmente, la logica ghettizzante dell’infermità mentale tipica dell’interdizione, la quale è rimasta solo per casi eccezionali -art. 414 c.c.- nel caso in cui non sia possibile assicurare con l’amministrazione di sostegno una adeguata protezione.

L’amministrazione di sostegno trova applicazione a favore della persona, affetta da qualsiasi patologia (la legge recita: per effetto di ogni infermità ovvero menomazione fisica o psichica), che si trovi in tutto o in parte, in via definitiva o temporanea, nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi.

A titolo meramente esemplificativo: soggetti portatori di handicap mentali e fisici, alcoolisti, tossicodipendenti, disadattati sociali, anziani in genere, detenuti, ecc.

Il principio cardine della nuova normativa è la conservazione della capacità di agire del beneficiario con conseguente carattere derogatorio dei limiti di capacità previsti.

Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’a.d.s.”

L’a.d.s. si inquadra in una logica ed in un progetto di sostegno esistenziale in cui si inseriscono la cura della persona, l’assistenza dell’amministrazione di sostegno, interventi di sostegno temporaneo o permanente, rientrando la problematica patrimoniale, ovvero il problema relativo al compimento di atti con valenza giuridica ed economica (logica dell’interdizione) come aspetto possibile e talora necessario ma non assorbente o fondamentale dell’esistenza umana.

La legge fa riferimento al disabile beneficiario dell’a.d.s. nella sua integralità quando parla di bisogni, di aspirazioni, di richieste, scelte e di possibili dissensi con l’operato dell’amministratore di sostegno oltre che di interessi e di esigenze di protezione.

In questa nuova logica si attua un affiancamento dell’a.d.s. alla persona priva in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.

I giudici italiani sono chiamati insieme ai familiari del disabile, ed anche insieme ai responsabili del servizio socio-sanitario direttamente impegnati nella cura ed assistenza della persona, a porsi accanto al soggetto non autonomo con l’obiettivo di costruire per lui un progetto di sostegno più o meno limitato in dipendenza delle richieste e delle esigenze manifestate dal soggetto stesso o necessitate, realizzando uno strumento idoneo a sopperire per quanto possibile le carenze della persona che per qualsiasi ragione (infermità o menomazione) è impossibilitata a provvedere ai propri interessi.

L’obiettivo non è più un asettico accertamento di incapacità di agire collegato alla logica ghettizzante dell’infermità di mente.

Vanno evitate il più possibile le limitazioni alla capacità di agire, cosicché vengono considerati gradatamente e nell’ordine: gli atti che il beneficiario non può compiere e per i quali l’a.d.s. si sostituisce a lui, gli atti per il cui compimento è richiesta l’assistenza dell’a.d.s. ed infine gli atti che possono essere validamente compiuti dal beneficiario.

Il Giudice nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno ritaglia e definisce in maniera specifica il ruolo dell’a.d.s. lasciando piena capacità di agire al beneficiario per tutto quanto non è espressamente e diversamente stabilito.

Da qui emerge la profonda innovazione culturale, prima che giuridica, introdotta dalla legge 6/2004.

Finalmente alla logica totalizzante del divieto e dell’annullamento totale, tipica del giudizio di incapacità di agire derivante dall’infermità, tipica dell’interdizione (ed in misura diversa dell’inabilitazione) si sostituisce quella individualizzante e liberante sempre relativa ed umana, della possibilità di agire e del superamento dei limiti.

Gli interventi di sostegno sono definiti in maniera diretta e specifica ove necessari a garantire adeguata protezione alla persona non autonoma, garantendo le migliori condizioni esistenziali, valorizzando al massimo tutti i possibili spazi di autonomia esistenti, i bisogni del beneficiario, le sue richieste, le sue indicazioni e persino, del tutto correttamente, le sue aspirazioni, le sue scelte ed i suoi dissensi.

Il procedimento ed il provvedimento sono rivolti alla cura della persona non autonoma nelle sue esigenze personali e patrimoniali dovendosi il più possibile adeguare alla personalità del beneficiario, integrandone le possibilità di autonomia con un provvedimento articolato, modulato, temporalmente limitabile e variabile nel tempo in dipendenza dell’evoluzione della persona e della sua possibilità di autonomia (provv. in caso di contrasto di scelte, possibilità di revoca, sopravvenuta inidoneità dell’a.d.s.).

 Il decreto di nomina dell’a.d.s. e le sue successive modificazioni ed integrazioni devono essere il più possibile il frutto di esigenze condivise di progettazione con e per il soggetto non autonomo, acquisite attraverso la partecipazione attiva del soggetto (il quale deve comparire in udienza- interrogazione molto colloquiale e non inquisitoria, meno invasiva della procedura svolta per l’interdizione), attraverso le richieste dei familiari ed anche, come si è detto, eventualmente dei servizi sociali che hanno in cura il beneficiario.

Il Giudice non è lasciato solo in questo importante compito di definizione del progetto di sostegno.

La nomina dell’a.d.s. ed i provvedimenti anche urgenti e provvisori dettati per la cura della persona interessata sono il risultato di un complesso meccanismo realizzato nell’interesse della persona in difficoltà che vede come attori protagonisti il soggetto beneficiario, i soggetti, se diversi, che hanno attivato la procedura o che vi hanno fatto ingresso ed infine il Giudice, il quale è anche garante del funzionamento del progetto di sostegno.

Infatti egli ne verifica l’andamento, la corretta attuazione e la idoneità dell’operato dell’a.d.s. attraverso la relazione annuale che quest’ultimo deve presentare.

L’applicazione della legge da parte dei Giudici si è sempre più orientata sulla nomina di amministratore di sostegno in luogo della nomina di tutore e sul passaggio, previsto espressamente dalla legge, alla procedura di nomina di a.d.s. anche nei giudizi in corso diretti alla pronuncia di interdizione o inabilitazione.

Il ricorso all’interdizione, come si è detto, è visto normativamente, come eccezionale e marginale e deve essere il risultato di una valutazione di impossibilità in concreto di adeguata protezione attraverso l’a.d.s.

Ciò è tanto vero che si ritiene e si auspica in dottrina (proposta del Prof. Cendon) l’abrogazione degli istituti dell’interdizione ed inabilitazione, ormai ritenuti desueti.

Anche se va detto che la valutazione circa l’opportunità di una forma di protezione piuttosto che un’altra è rimessa al Giudice. La giurisprudenza, poi, ultimamente pare orientata verso l’individuazione del discrimine tra interdizione ed a.d.s. avendo riguardo alla consistenza patrimoniale del soggetto.

Dall’entrata in vigore della legge vi sono state valanghe di procedimenti diretti alla nomina dell’a.d.s., ciò significa che tale istituto non è stato affatto demonizzato come strumento diretto all’annullamento della persona come avveniva per l’interdizione, ma sempre più compreso come strumento utile a coloro che si trovano in condizioni di difficoltà permettendo un progetto coordinato di sostegno davvero a servizio del soggetto non autonomo- con il coinvolgimento solidaristico della famiglia, dei volontari, dei servizi medico-sociali privati e pubblici.

 


  
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