L'istituto dell’amministratore di sostegno
Il
panorama giuridico esistente prima della introduzione della legge
sull’amministrazione di sostegno prevedeva in tema di status delle persone
con menomazioni psico-fisiche due soli sbocchi legali alternativi:
interdizione e d inabilitazione.
Colui
che si trovava in condizioni di infermità mentale tale da renderlo incapace a
provvedere ai propri interessi poteva essere interdetto o inabilitato a
seconda della gravità della menomazione riscontrata e privato in tutto o in
parte della capacità di agire e di compiere atti giuridici con la conseguente
nomina di un’altra persona (il tutore od il curatore) che si sostituiva nel
compimento di tutti i negozi giuridici.
Entrambe
le due strade (interdizione o inabilitazione) erano e sono tuttora gravose dal
punto di vista economico, giuridico, ma soprattutto umano, poiché lasciano un
marchio che finisce di aggravare ulteriormente l’emarginazione psicologica e
sociale dell’interessato e-a dire il vero- anche dei suoi familiari.
In
questo assetto rimasto invariato sin dal 1942 si inserisce la legge 9 gennaio
2004 n. 6, entrata in vigore dal 19 marzo del 2004, che introduce nel nostro
ordinamento l’istituto dell’amministratore di sostegno.
La
legge innova profondamente l’assetto del codice civile in materia di
interdizione ed inabilitazione, modificando ed ampliando le norme già
esistenti poste a tutela dei soggetti deboli ed incapaci.
Finalmente
anche nel nostro ordinamento appare un istituto più flessibile e meno gravoso
dell’interdizione e dell’inabilitazione.
Sin
dagli anni ‘70 era emersa in dottrina l’esigenza di rivisitare gli
istituti dell’interdizione de dell’inabilitazione; negli anni ’80 un
gruppo di studio coordinato dal Prof. Cendon ne aveva presentato una prima
proposta di revisione.
La
legge 6/2004 sull’amministrazione di sostegno, promulgata a conclusione
dell’anno europeo per le persone disabili, costituisce, in coerenza con le
recenti normative europee (Francia, Spagna ed Austria sono molto
all’avanguardia sul punto) la sintesi di istanze sia giuridiche che socio
culturali che hanno promosso una sorta di rivoluzione copernicana nella
materia.
Il
sistema previgente era imperniato sulla centralità del patrimonio a cui si è
sostituita la centralità della persona.
Lo
schema totalizzante dell’interdizione o dell’inabilitazione partiva da un
giudizio di incapacità di agire derivante da una accertata infermità mentale
e proseguiva nella logica di esclusione di qualsiasi partecipazione del
soggetto interdetto nel panorama giuridico ma soprattutto sociale. Al fine di
dare certezza giuridica ed economica ai traffici giuridici (contratti ecc.)
ogni atto compiuto dall’interdetto doveva ritenersi invalido.
È
evidente che nessuno spazio, neppure marginale, era lasciato alla persona
colpita da questa misura di protezione, diretta in realtà alla protezione dei
terzi più che della persona in difficoltà.
Per
la prima volta con l’introduzione dell’a.d.s. trovano concreta attuazione
normativa i grandi principi fondamentali costituzionali del personalismo, del
solidarismo (art. 2), del riconoscimento di pari dignità senza distinzione di
condizioni personali e sociali (art. 3).
L’amministratore
di sostegno “è una presenza da concepire sulla carta come qualcosa di
non molto distante da una sorta di fratello maggiore” [Prof. Cendon] che
con il suo sostegno e la sua assistenza aiuti il soggetto debole, inteso in
senso ampio.
La
normativa ha pertanto una valenza innovativa sia giuridica che sociale
(Finalità della legge art. 1) essendo volta alla protezione delle persone
prive in tutto ed in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni
della vita quotidiana prevedendo un programma da determinarsi caso per caso
(progetto di sostegno) interventi di sostegno temporaneo o permanente a favore
del disabile.
Questa
nuova forma di protezione è a spettro ampio, essendosi rifiutata, finalmente,
la logica ghettizzante dell’infermità mentale tipica dell’interdizione,
la quale è rimasta solo per casi eccezionali -art. 414 c.c.- nel caso in cui
non sia possibile assicurare con l’amministrazione di sostegno una adeguata
protezione.
L’amministrazione
di sostegno trova applicazione a favore della persona, affetta da qualsiasi
patologia (la legge recita: per effetto di ogni infermità ovvero menomazione
fisica o psichica), che si trovi in tutto o in parte, in via definitiva o
temporanea, nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi.
A
titolo meramente esemplificativo: soggetti portatori di handicap mentali e
fisici, alcoolisti, tossicodipendenti, disadattati sociali, anziani in genere,
detenuti, ecc.
Il
principio cardine della nuova normativa è la conservazione della capacità di
agire del beneficiario con conseguente carattere derogatorio dei limiti di
capacità previsti.
“Il
beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non
richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’a.d.s.”
L’a.d.s.
si inquadra in una logica ed in un progetto di sostegno esistenziale in cui si
inseriscono la cura della persona, l’assistenza dell’amministrazione di
sostegno, interventi di sostegno temporaneo o permanente, rientrando la
problematica patrimoniale, ovvero il problema relativo al compimento di atti
con valenza giuridica ed economica (logica dell’interdizione) come aspetto
possibile e talora necessario ma non assorbente o fondamentale
dell’esistenza umana.
La
legge fa riferimento al disabile beneficiario dell’a.d.s. nella sua
integralità quando parla di bisogni, di aspirazioni, di richieste, scelte e
di possibili dissensi con l’operato dell’amministratore di sostegno oltre
che di interessi e di esigenze di protezione.
In
questa nuova logica si attua un affiancamento dell’a.d.s. alla persona priva
in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita
quotidiana.
I
giudici italiani sono chiamati insieme ai familiari del disabile, ed anche
insieme ai responsabili del servizio socio-sanitario direttamente impegnati
nella cura ed assistenza della persona, a porsi accanto al soggetto non
autonomo con l’obiettivo di costruire per lui un progetto di sostegno più o
meno limitato in dipendenza delle richieste e delle esigenze manifestate dal
soggetto stesso o necessitate, realizzando uno strumento idoneo a sopperire
per quanto possibile le carenze della persona che per qualsiasi ragione
(infermità o menomazione) è impossibilitata a provvedere ai propri
interessi.
L’obiettivo
non è più un asettico accertamento di incapacità di agire collegato alla
logica ghettizzante dell’infermità di mente.
Vanno
evitate il più possibile le limitazioni alla capacità di agire, cosicché
vengono considerati gradatamente e nell’ordine: gli atti che il beneficiario
non può compiere e per i quali l’a.d.s. si sostituisce a lui, gli atti per
il cui compimento è richiesta l’assistenza dell’a.d.s. ed infine gli atti
che possono essere validamente compiuti dal beneficiario.
Il
Giudice nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno ritaglia
e definisce in maniera specifica il ruolo dell’a.d.s. lasciando piena
capacità di agire al beneficiario per tutto quanto non è espressamente e
diversamente stabilito.
Da
qui emerge la profonda innovazione culturale, prima che giuridica, introdotta
dalla legge 6/2004.
Finalmente
alla logica totalizzante del divieto e dell’annullamento totale, tipica del
giudizio di incapacità di agire derivante dall’infermità, tipica
dell’interdizione (ed in misura diversa dell’inabilitazione) si
sostituisce quella individualizzante e liberante sempre relativa ed umana,
della possibilità di agire e del superamento dei limiti.
Gli
interventi di sostegno sono definiti in maniera diretta e specifica ove
necessari a garantire adeguata protezione alla persona non autonoma,
garantendo le migliori condizioni esistenziali, valorizzando al massimo tutti
i possibili spazi di autonomia esistenti, i bisogni del beneficiario, le sue
richieste, le sue indicazioni e persino, del tutto correttamente, le sue
aspirazioni, le sue scelte ed i suoi dissensi.
Il
procedimento ed il provvedimento sono rivolti alla cura della persona non
autonoma nelle sue esigenze personali e patrimoniali dovendosi il più
possibile adeguare alla personalità del beneficiario, integrandone le
possibilità di autonomia con un provvedimento articolato, modulato,
temporalmente limitabile e variabile nel tempo in dipendenza dell’evoluzione
della persona e della sua possibilità di autonomia (provv. in caso di
contrasto di scelte, possibilità di revoca, sopravvenuta inidoneità dell’a.d.s.).
Il decreto di
nomina dell’a.d.s. e le sue successive modificazioni ed integrazioni
devono essere il più possibile il frutto di esigenze condivise di
progettazione con e per il soggetto non autonomo, acquisite attraverso la
partecipazione attiva del soggetto (il quale deve comparire in udienza-
interrogazione molto colloquiale e non inquisitoria, meno invasiva della
procedura svolta per l’interdizione), attraverso le richieste dei
familiari ed anche, come si è detto, eventualmente dei servizi sociali che
hanno in cura il beneficiario.
Il Giudice non è
lasciato solo in questo importante compito di definizione del progetto di
sostegno.
La nomina
dell’a.d.s.
ed i provvedimenti anche urgenti e provvisori dettati per la cura della
persona interessata sono il risultato di un complesso meccanismo realizzato
nell’interesse della persona in difficoltà che vede come attori
protagonisti il soggetto beneficiario, i soggetti, se diversi, che hanno
attivato la procedura o che vi hanno fatto ingresso ed infine il Giudice, il
quale è anche garante del funzionamento del progetto di sostegno.
Infatti egli ne
verifica l’andamento, la corretta attuazione e la idoneità dell’operato
dell’a.d.s. attraverso la relazione annuale che quest’ultimo deve
presentare.
L’applicazione
della legge da parte dei Giudici si è sempre più orientata sulla nomina di
amministratore di sostegno in luogo della nomina di tutore e sul passaggio,
previsto espressamente dalla legge, alla procedura di nomina di a.d.s. anche
nei giudizi in corso diretti alla pronuncia di interdizione o
inabilitazione.
Il ricorso
all’interdizione, come si è detto, è visto normativamente, come
eccezionale e marginale e deve essere il risultato di una valutazione di
impossibilità in concreto di adeguata protezione attraverso l’a.d.s.
Ciò è tanto
vero che si ritiene e si auspica in dottrina (proposta del Prof. Cendon)
l’abrogazione degli istituti dell’interdizione ed inabilitazione, ormai
ritenuti desueti.
Anche se va
detto che la valutazione circa l’opportunità di una forma di protezione
piuttosto che un’altra è rimessa al Giudice. La giurisprudenza, poi,
ultimamente pare orientata verso l’individuazione del discrimine tra
interdizione ed a.d.s. avendo riguardo alla consistenza patrimoniale del
soggetto.
Dall’entrata in
vigore della legge vi sono state valanghe di procedimenti diretti alla
nomina dell’a.d.s., ciò significa che tale istituto non è stato affatto
demonizzato come strumento diretto all’annullamento della persona come
avveniva per l’interdizione, ma sempre più compreso come strumento utile
a coloro che si trovano in condizioni di difficoltà permettendo un progetto
coordinato di sostegno davvero a servizio del soggetto non autonomo- con il
coinvolgimento solidaristico della famiglia, dei volontari, dei servizi
medico-sociali privati e pubblici.